venerdì 2 aprile 2010

Madre Barocca







Se solo riuscissi a decifrare i codici massonici applicati al mio telefonino potrei mostrarvi le squisitamente amatoriali foto che sono riuscito a rubare durante la mia visita di purificazione al museo Madre di Napoli, in occasione dell'evento Barock. Ognuno vive il giovedì santo come meglio crede, ma dato che credere non è il mio punto forte ho pensato fosse cosa buona e giusta glorificare questo giorno con una sana iniezione di arte. Insomma c'è qualcosa di biblico nello stazionare un quarto d'ora di fronte uno squalo imbalsamato mentre intorno a me forme di vita nascevano si riproducevano e morivano, ma in fondo anche qualche ebreo di sicuro in qualche passo della bibbia si è fermato più del dovuto ad ammirare la straordinaria perfomance art di Gesù che veniva flagellato, un pò alla Marina Abramovic, applaudendo con gaudio a performance conclusa.

La cosa più kitsch che puoi fare poi in un museo è di certo avvicinarti con aria indifferente ad un gruppo di persone distinte, uno dei quali spiega al resto storia, curiosità, simbolismi e bagianate circa l'opera che insieme state ammirando; un pò quello che ho tentato di fare quando mi sono trovato di fronte l'installazione di Matthew Barney (il marito di Björk), Cremaster 3, un'installazione candida e confusionaria, figlia del grandioso ciclo Cremaster (storia lunga da raccontare ora), una di quelle opere che proprio per il loro ermetismo ti fà sentire stupido quanto basta, almeno finchè non arriva il sapiente di turno dal quale rubare nettare per la tua autostima.
Di certo non c'è stato bisogno di particolari spiegazioni per le teche di Jake e Dinos Chapman, questi due fratelli dai dolcissimi sentimenti ma dalla perfida immaginazione che hanno incorniciato tra vetro e legno pseudo presepi della più nobile tradizione napoletana, rappresentanti però migliaia di corpi straziati da perversi soldati nazisti alti poco più di un paio di centimetri. In fondo il barocco è macabro e quale modo migliore per esprimerlo se non attraverso una minuziosa rappresentazione del male espresso attraverso millimetriche testoline conficcate su pali, soldati della morte che per scherzo indossano maiali scuoiati e avvoltoi che mangiano cadaveri!? Adorabile.

Ma tranquilli c'è anche del sano humor tra le sale del Madre, leggerezza legata ad'una sana dose di blasfemia nelle parodie chirurgico/religiose dell'artista Orlan. Ok forse chi non conosce le implicazioni erotiche dell'estasi di S.Teresa del Bernini avrà bisogno di allungare l'orecchio verso la guida della comitiva affianco, ma non è difficile cogliere la vena ironica delle gigantografie che la ritraggono proprio nelle vesti della santa ritratta dal Bernini ma in versione più maliziosa e profana con un glorioso seno in mostra maneggiando due croci in modo poco ortodosso. Intanto su di un maxischermo vengono proiettate le scene filmate durante le sedute di chirurgia estetiche alle quali si è sottoposta, e non disgustavi nel vederla fiera mostrare il grasso estrattole dalla liposuzione o nel vedere le sue labbra squarciate da un bistori. Anche questo è barocco.

Ora avete presente la Sindrome di Stendhal!? Quel momento mitologico in cui in preda ad un'overdose di bellezza artistica svieni per un indigestione!? Ecco sono sicuro che una volta nella vita debba capitare a tutti, e credo di esserci andato davvero vicino entrando nella sala dedicata a Damien Hirst. In realtà penso che il giramento momentaneo di cui sono stato vittima sia stato causato dalla temperatura spropositatamente alta dell'ambiente, ma mi piace pensare che sia stato vittima di un sottofenomeno Stendhaliano, trovandomi di fronte un riassunto della poetica del mio artista preferito. E non domandatevi fino a che punto è razionale emozionarsi di fronte una vetrinetta con centinaia di medicinali davvero per tutti i gusti o osservando un enorme cerchio nero formato da milioni di mosche morte, io posso. Forse qualcuno riterrà altamento di cattivo gusto accovacciarsi tra due teche che contengono le due metà di una pecora sezionata dalla testa all'ano per osservare con occhi lucidi le interiora e rendersi conto che il cervello degli ovini e davvero piccolo, e in effetti di cattivo gusto lo è, ma allegoricamente non è forse una lettura più approfondita di uno dei simboli della Pasqua!? Insomma tutto ha un senso.

E giusto perchè davvero la classe intellettuale napoletana non può farsi mancare nulla, mentre salgo le scale e alzo la testa per una bestemmia di buon augurio mi accorgo che sul soffitto è stata installata l'opera che a mio avviso rappresenta la quinta essenza del kitsch/minimal/pop contemporaneo, gioia per i miei occhi, l'opera di Jeff Koons Dolphin, ovvero un delfino gonfiabile da mare, di quelli che si vedono su tutte le spiaggie più cafonal del mondo, con sotto appeso un magnifico e normalissimo set di pentole. Che cagata! potrebbe esclamare qualcuno. Ma a me piace, e non poco. E dopo averla ammirata noiosamente su tutte le enciclopedie della rete me la ritrovo proprio sulla testa, con la dolce possibilità che qualche trascurato operaio abbia applicato male l'installazione al soffitto e che tutto possa cadermi addosso, mai sensazione fu più gratificante.

Tanto gaudio ed emozione poteva concludersi in modo epocale? Certo! E' bastato uscire dal cortile sbagliato per rendermi conto di aver affrontato il percorso della mostra al contrario e trovarmi in un qualcosa che somigliasse a ad uno spogliatoio per il personale o roba del genere che, per mia fortuna, mi ha condotto verso l'installazione della quale il museo và più fiero, Untitled di Cattelan. All'interno della chiesa vecchia di S.Maria di Donnaregina (gioiello del gotico napoletano, ma in fondo io studente di architettura non sono nessuno per parlarne) dove per norma dovrebbe essere esposto il solito crocifisso, campeggia un inno alle costrizioni forse religiose, forse sociali interpretato da Cettelan come una donna costretta in un letto, imbrigliata e in situazione d'asfissia, insomma nulla di più barocco ed espressivo, nulla di più blasfemo ed estasiante, il tutto sorvegliato da una surreale addetta del personale che, riscaldata da una stufetta alogena in una mattinata che contava 25 gradi all'ombra, impacciata prima mi ammonisce per essermi avvicinato troppo al nastro che protegge l'opera e poi risentita mi permette di avvicinarmi ancora un pò. Insomma chi ha detto che i napoletani sono tutti personaggi da commedia urlanti gesticolanti pizzaioli dediti all'ozio retrogradi!?
Amen.


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